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sabato 20 luglio 2019
Il Castello di Porciano
Castrum
Porciani, anche detto Castello di Porciano, collocato territorialmente nella
frazione di Porciano (comune di Ferentino), è un antico presidio militare del
IX secolo circa. Oggi i suoi resti sono ricoperti da una fitta vegetazione su
un'altura che si affaccia sul lago di Canterno, nell'area della Riserva
Naturale del Lago di Canterno.
Il castello
oggi è diroccato, difficilmente visitabile in alcuni periodi dell’anno. Il mio
consiglio è di visitarlo in una bella e soleggiata giornata di primavera come
potete vedere nel video, così da non trovare fanghiglia lungo il percorso e
nemmeno una eccessiva vegetazione che ricopre quasi totalmente il castello come
nei mesi estivi. A mio parere, a livello turistico sarebbe di sfruttare di più
questi siti storici che il passato ci ha regalato. Va benissimo il percorso di
circa 30 minuti a piedi dalla fine del centro storico della nuova Porciano fino
al castello realizzato dal comune e dalla Regione Lazio, ma vedere la zona del
castello così piena di piante, arbusti, spine che stanno continuando a buttare
giù quel poco che resta è veramente un peccato. Prendiamo esempio dalla Scozia
che di castelli ne ha migliaia e tutti praticamente visitabili con facilità,
puliti nelle aree limitrofe, con opere continue di restauro e con gite
organizzate che finanziano il tutto e creano posti di lavoro nell’ambito
turistico. Noi ne abbiamo molti di meno di castelli, forse, ma anche molta meno
intelligenza gestionale.
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giovedì 28 marzo 2019
Campo di Internamento "Le Fraschette" - Alatri
Il campo de “Le Fraschette” fu un campo di internamento e concentramento istituito nel 1941 dalle autorità militari del regime fascista nel territorio di Alatri, in località Fraschette.Entrò in funzione il 1º ottobre 1942 e rimase attivo con questa funzione fino al 19 aprile 1944. Benché progettato per ospitare prigionieri di guerra, finì per diventare luogo di internamento di civili per lo più slavi, greci e delle altre popolazioni direttamente in guerra con l'Italia.
Inizialmente accolse 780 persone di origine anglo-maltese. Prima della fine del 1942 giunsero dall'isola di Meleda, in Dalmazia, altre 2300 persone. All'inizio del 1943 si toccarono le 5500 unità con l'aggiunta di croati, montenegrini, albanesi e tripolini italiani.
Le situazioni igieniche erano pessime, in parte legate al sovraffollamento, in parte legate alla precarietà della struttura costruita in grande fretta; le autorità civili e militari che gestivano le 174 baracche si macchiarono di furti ed abusi sugli internati.
Su questa
situazione critica intervenne anche monsignor Edoardo Facchini, vescovo di
Alatri, che si prese a cuore la sorte dei prigionieri, in particolare delle
molte donne e bambini che erano ospitati alle Fraschette.
Nel dopoguerra le strutture vennero riconvertite per dare momentanea accoglienza ai profughi italiani di Istria, Dalmazia ed Africa e successivamente ai profughi in fuga dai regimi comunisti, di nazionalità soprattutto ungherese. Ospiti celebri delle Fraschette in questo secondo periodo del campo furono il calciatore László Kubala, il quale riuniva i calciatori profughi ungheresi in Italia e organizzava amichevoli di vario livello, e lo sportivo Isidoro Marsan.
László Kubala Stecz (Budapest, 10 giugno 1927 – Barcellona, 17 maggio 2002), è stato un calciatore e allenatore di calcio ungherese di origine slovacca, di ruolo centrocampista.Fu nazionale di Cecoslovacchia, Ungheria e Spagna.Occupa la 32ª posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo pubblicata dall'IFFHS nel 2004.
Lasciato in stato d'abbandono per molto tempo, ultimamente le autorità comunali stanno tentando di recuperare le strutture fatiscenti per renderle fruibili ai turisti. Negli ultimi anni sono stati realizzati studi per accertare la verità storica circa la vera funzione del campo durante la seconda guerra mondiale.
Riporto adesso gran parte dell’articolo di Vincenzo Cerceo del novembre 2003 che potete trovare interamente cliccando su questo link.
Vi suggerisco di leggerlo perché è veramente importante sapere cosa era e cosa si diceva in quei periodi bui.
CRONACA DI UN’INFAMIA.
“Le Fraschette” di Alatri, campo d’internamento per slavi.
Di Vincenzo CERCEO
Da tempo i partigiani ciociari, nella provincia di Frosinone, chiedono al Ministro per i Beni e le Attività culturali che il campo delle “Fraschette”, nei pressi di Alatri venga ufficialmente riconosciuto come “luogo della memoria”.(…) Sulla realtà passata di questo campo esiste già un vuoto di memoria raggelante: un solo esempio, durante la ricerca condotta da chi scrive sull’argomento, una dipendente dell’Archivio di Stato di Frosinone, informata per la prima volta che, nei decenni passati, a pochi chilometri da casa sua era stato in funzione un campo fascista di concentramento ed internamento, esclamava sorpresa: “è la prima volta che lo sento!”. E ciò è spiacevole.
Nell’aprile 2002, la Biblioteca Comunale di Alatri organizzava un convegno dal titolo: “Dossier Fraschette 1942–2002”, con lo scopo di interrompere la congiura del silenzio in corso sull’argomento. Gli atti sono disponibili presso quella Biblioteca e sono stati in parte utili a questa ricerca, ma l’opera di chiarificazione ed informazione è solo all’inizio. Pare quasi che in Italia siano tanti a voler tacere su queste cose.La ricerca storica e la divulgazione pubblicistica si sono interessate molto, negli ultimi anni, dell’occupazione tedesca, di Cefalonia, Marzabotto e così via, ma preferiamo dimenticare che anche noi siamo stati il popolo che ha causato diverse Marzabotto ad altri popoli.
Ma vediamo
più da vicino il campo delle “Fraschette”: una chiara descrizione è data, ad
esempio, da una slovena che fu internata: Milena Giziak da Vertoiba, frazione
del comune di Gorizia. Arrestata con tutta la famiglia nel settembre 1942
perché un fratello era andato partigiano, rinchiusa in carcere (aveva solo 13
anni!) fino al marzo 1943 con cibo scarsissimo, fu infine spedita con altre 150
donne alle “Fraschette”. Ecco cosa leggiamo nella testimonianza rilasciata
dalla stessa e pubblicata nel volume dell’ANED intitolato: “Gli internati dal
1940/1943”.“Il campo di
Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata da monti. Eravamo
quasi solo donne. Il vitto era impossibile: un mestolo di brodaglia e un etto
di pane al giorno. Sporcizia rivoltante nei luoghi dove il cibo veniva
preparato. Spaventose soprattutto le condizioni delle croate e delle greche,
tanto da essere costrette ad aggirarsi attorno ai bidoni della spazzatura onde
recuperare bucce di patate e qualche altro scarto”. Una certa
solidarietà, afferma la Giziak, veniva loro dai giovani soldati di guardia, i
quali “tolleravano le uscite clandestine delle internate per saccheggiare nelle
campagne circostanti la frutta e quant’altro potesse attenuare gli stimoli
della fame”.
(…) Dei
campi di deportazione ed internamento fascisti, abbiamo detto, raramente si
parla, ma non possiamo continuare ad esaltare le colpe degli altri omettendo
l’esame dei nostri errori che si chiamano appunto “confino” ed “internamento”,
misure realizzate da un governo pienamente legittimato, dal fascismo monarchico
libero e sovrano. Questo fascismo ha partorito la realtà del campo “le Fraschette”
di Alatri. Questo campo è particolarmente interessante perché rappresenta
diverse tipologie di internamento succedutesi, e risponde alle diverse basi
dello sviluppo dei campi di concentramento fascisti. Nel 1922 il
fascismo istituì il confino di polizia per avversari politici; nel 1938 vi
furono le leggi razziste (che si preferisce, per vergogna, chiamare
“razziali”), con possibilità di provvedimenti restrittivi verso gli ebrei; l’internamento
invece risale al 1940 ed è misura di guerra. Il regime ne fece largo uso, molto
più del “confino”, perché per comminare il confino erano necessari alcuni passaggi
burocratici. L’internamento invece non aveva bisogno di commissioni, né di
rinnovi. Era un provvedimento rapido e definitivo. Anche per questo “istituto”,
però, va fatta un’ulteriore distinzione: c’era un internamento di Polizia, che concedeva
un sussidio agli internati, ed una seconda forma di internamento, gestito
direttamente dai militari, che riguardava i territori occupati. Non concedeva
alcun sussidio, e riguardava in massima parte le popolazioni slave, dove era
viva l’attività partigiana. Il campo delle “Fraschette” venne progettato nell’aprile
del 1941 per ospitare 7.000 prigionieri di guerra, ma, dato il problema
impellente degli sfollati, il Ministero degli Interni decise presto di destinarlo
ad un altro uso. Alla fine prevalse un terzo uso: campo di internamento per
migliaia di slavi che venivano deportati per rappresaglia contro l’attività
partigiana. (…) Ciò consentiva al governo di risparmiare il versamento del
sussidio di L. 6,50 al giorno per ogni internato. Al campo, dunque, fu la fame
più nera. All’interno del campo, si mangiava solo, da parte degli slavi, la
brodaglia preparata dai militari. Diversa era
invece la situazione per i non numerosi internati anglo-maltesi che venivano
assistiti dalla Croce Rossa svizzera. Erano gli slavi, insomma, ad essere
condannati all’inferno. Traccia chiarissima ne risulta dalla consultazione dei
registri di morte, di cui il sindaco di Alatri, con gesto liberale e
lungimirante, ha consentito a chi scrive la consultazione e l’uso per fini di
documentazione storica. L’elenco è
lungo, allucinante. Morivano, in percentuale, il 95% di internati slavi, quasi
ogni giorno, dai due mesi di età (!) agli 89 anni. Nel luglio
1943 su 1.162 “Dalmati” presenti nel campo, circa 500 erano bambini, quasi
tutti orfani. Gli internati erano civili, familiari di “ribelli” slavi, tenuti
in ostaggio per convincere i partigiani a rinunciare alle loro attività in
cambio del ritorno a casa degli internati. (…)Nell’estate del 1943 salirono
fino ad un numero massimo di 4.500 persone.Dopo l’8
settembre, il venir meno della vigilanza consentiva a molti internati di
fuggire, e nel novembre dello stesso anno, le SS tedesche imposero al governo
di Salò il trasferimento degli ultimi rimasti, in numero di 1.300, al campo di
Fossoli, presso Carpi. Gli slavi, però, avevano avuto modo, per la massima
parte, di tornare fortunosamente e faticosamente a casa. I tedeschi non erano
molto interessati ad essi. Con l’estate del 1943, inoltre, il vescovo di
Alatri, mons. Facchini, aveva ottenuto la presenza di una comunità di 5 suore
nel campo per assistere gli internati.
IL VESCOVO ANTIFASCISTA.
Agli inizi
di febbraio 1944, il governo di Salò inviava alla segreteria di Stato vaticana
una nota riservata, riguardante il vescovo di Alatri, mons. Facchini.
“Monsignor
Vescovo di Alatri il giorno 30/1/1944 durante la Santa Messa delle ore 12.00,
in un appello ai fedeli di Alatri dichiarava, alla presenza di numerosi
ufficiali, che era necessario mostrare ai tedeschi i denti”.
Fu lui a coordinare in zona le tre componenti della Resistenza (quella cattolica, quella militare e quella marxista, che divenne presto preminente) ed a fornire il ciclostile per stampare, in Curia, il giornale clandestino dei partigiani. La morte di questo nobile prelato, negli anni ‘60, durante il Concilio Vaticano II, non ha attenuato il rispetto dei concittadini per il nome; rispetto che è sempre stato e rimane totale. Il segretario di mons. Facchini, oggi vecchio parroco di campagna, ma fine intellettuale ed ottimo filologo autore di studi specialistici, fornisce testimonianze verbali toccanti circa quel periodo. La presenza di quel campo di internamento nella sua diocesi era, per il Vescovo, una spina nel cuore che non gli dava pace. “Andava anche due o tre volte al giorno al campo, a piedi oppure con la sua Balilla. I responsabili del campo non avevano grande considerazione per le condizioni degli internati”. Accadevano strani traffici, specie denaro. Monsignor Facchini accusava tutti pubblicamente, dal pulpito. Riuscì a far trasferire il direttore, ma dopo poco, lo vide reintegrato. Partì allora per Roma, per parlare col Capo della Polizia, ma non ottenne nulla. Evidentemente troppo forti erano gli interessi in gioco. Ottenne però l’autorizzazione a creare, all’interno del campo, un presidio di suore. (…) È grazie al diario della superiora di quel gruppo di suore, Madre Mercedes Agostini (che proprio Facchini volle fosse compilato e conservato), che abbiamo notizie preziose sulla vita del campo. Un giorno il Vescovo dovette protestare affinché l’infermeria del campo fosse fornita di un bisturi: durante la notte, infatti, un internato medico aveva dovuto operare un’appendicite urgentissima con una lametta da barba “perché l’ospedale era lontano e l’ammalato rischiava di morire in barella”. A guerra finita, dettero a Mons. Facchini una medaglia di bronzo al merito, ma egli non volle andare a ritirarla in Prefettura.
(…)ANCORA TESTIMONIANZE.
Luisa
Deskovic, dalmata, nel 1941 studiava a Belgrado ed era comunista. Scoppiata la
guerra, rientrò a Sebenico e fu arrestata per le sue idee politiche. Confinata
a Ventotene, senza alcun processo, nell’agosto 1943, a fascismo caduto, fu
trasferita alle “Fraschette” dai “badogliani”. (…)“Gli slavi
all’epoca erano circa 4.000. Due volte al giorno ti davano il rancio con la
gavetta, una brodaglia con qualche pezzo di zucca. Non ho mai mangiato, né
prima né dopo, una roba tanto disgustosa”, dichiarò. Dopo l’8
settembre, tra la confusione generale, decise di allontanarsi. Prese il treno
per Roma e da lì risalì al Nord Italia.
(…) La
mortalità nel campo, specialmente tra i piccoli, era alta. I fanciulli infatti
erano privi di ogni cura e lasciati per tutta la giornata fuori. La
ristrettezza delle baracche induceva le mamme a spingerli fuori. Dal Vaticano incominciò
anche ad arrivare latte in polvere. Finalmente!Ma oramai
eravamo nell’estate del 1943 e troppi erano morti in precedenza. Suor Mercedes
ricorda i nomi di cinque bambine croate affidatele: SKERIC Ljubica, di 5 anni;
SKERIC Milica di 9 anni; SKERIC Stefania di 7 anni; TOMMASOVIC Danica di 12
anni; MATJEJEVIC Milica di 7 anni. “Camminavano scalze, tenendo in mano gli
zoccoli perché erano troppo grandi”.
(…) Dopo il
1944 il campo ospitò prima prigionieri tedeschi e poi profughi e dalmati, ed
altri ancora, fino agli anni ‘70, quando fu chiuso, per essere riaperto dopo la
caduta del muro di Berlino: la storia continua.
(…) UNO SGUARDO AI DOCUMENTI.
Il Servizio Ispettivo della Regia Prefettura di Frosinone inviò al Prefetto di Frosinone, il 2/7/43, una relazione relativa ad un’ispezione effettuata nel campo di concentramento di Fraschette di Alatri.
Da questa relazione, conservata nell’Archivio di Stato di Frosinone, riportiamo degli ampi stralci.
“Il Campo di Concentramento di Fraschette, come avete rilevato nelle visite effettuatevi, presenta varie deficienze costruttive, organizzative e funzionali.(…) Il suo atto di nascita risale ai primi del 1942. Ma si tratta di una nascita illegittima, avulsa da ogni legge della più elementare dottrina topografica ed urbanistica anche nel senso più primitivo della parola.
Scelta la località, che invero risponde al criterio di impianto di un campo di concentramento perché ben lontano da centri abitati e da vie di comunicazione, di difficile evasione e contemporaneamente di facile sorveglianza, si trovò uno spiazzo circolare di circa seicento metri di diametro, pianeggiante, circondato da monti, e su quello spiazzo di terreno, così come si trovava, si buttarono a caso circa duecento baracche. Il costruttore – non si può parlare di progettista poiché non si vede una traccia nella costruzione di un abbozzo nemmeno embrionale di progetto razionale – non si preoccupò di tracciare un piano regolatore e mise in esecuzione le baracche prima di pensare alle strade, agli acquedotti, alle fognature. Non livellò il terreno, sicché tra una baracca e l’altra si hanno dislivelli di vari metri e, per un falso senso di economia di tempo, non di danaro, piuttosto che livellare la platea dove doveva sorgere ogni baracca, preferì colmare gli avvallamenti per ogni baracca con costosi muri in pietra sovraelevantisi, anche di vari metri, sul piano del terreno. Oggi, a strade costruite, si hanno baracche sottostanti di molto al livello stradale e tutto il campo si presenta con una serie di montagne russe che intralciano seriamente il deflusso delle acque di rifiuto e delle fognature e la regolare distribuzione idrica dell’impianto interno del campo. Vero è che il concetto originario era di adibire il campo a prigionieri di guerra, mentre poi, a costruzioni quasi ultimate, si mutò detta destinazione. La trasformazione nell’impiego ricettivo del campo non diminuisce, anzi aggrava le deficienze.
Nel campo di concentramento delle Fraschette, anziché i prigionieri di guerra, si immisero internati di guerra: cioè uomini e donne; bambini e vecchi; persone sane, ammalati e tarati; forti, ardenti tripolini e donne di razza slava che non lasciano dubbi sulla loro lascivia; famiglie organiche, numerose, e persone sole di ambo i sessi.(…) I gabinetti distanti dalle baracche, non sono raggiungibili, specie nella stagione invernale e di notte, dai vecchi, dai bambini, dagli ammalati e dalle gestanti. Mancano cucinette familiari per le necessità vittuarie sussidiarie delle famiglie, che per tale deficienza cucinano dentro le baracche, mentre le diciotto cucine per il vitto normale non sono facilmente controllabili; i canali di rifiuto sono lontani dalle baracche e le donne, piuttosto che recarvisi, imbrattano il terreno circostante.(…) Il Campo delle Fraschette è destinato ad avere una capacità ricettiva di settemila internati. Attualmente ne ospita circa cinquemila. Fra questi circa un migliaio sono anglo-maltesi ed il resto croati, sloveni e dalmati, provenienti dalle provincie italiane alloglotte e dal territorio conquistato. La suddetta promiscuità di razze, in uno spazio così ristretto, procura numerosi e vari inconvenienti sia tra gli internati che per gli organi preposti alla sorveglianza del campo. Nuoce anche alla futura assimilazione degli elementi di razza slava che fanno severi confronti tra la loro povertà, il trattamento deficiente che ricevono al campo e la ricchezza dei mezzi degli anglo-maltesi continuamente ed a profusione provvisti di ogni ben di Dio, anche del superfluo, dal Governo Inglese, attraverso la Croce Rossa.(…)
Allo stato attuale della situazione, perché il Campo delle Fraschette si organizzi e funzioni in modo regolare (…) bisogna che questi cinquemila abitanti siano approvvigionati di viveri da mercati lontani e di vestiario; che si riparino le loro abitazioni; che si facciano funzionare gli impianti elettrici casalinghi oltre a quelli pubblici; che si forniscano di mobili, suppellettili, coperte e lenzuola; che si curi la conservazione di questo ingente materiale; che si puliscano le loro case e i cessi; che si curino gli ammalati; che si tengano puliti e si disinfestino; che si impedisca il deterioramento doloso di tanto materiale.(…)
SERVIZI
AMMINISTRATIVI.(…) Vi sono
a capo: il Rag. Capo Cav. Uff. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) con le
funzioni di consegnatario dei materiali mobili ed immobili, nonché del magazzino
vestiario ed il Rag. Cav. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) addetto ai
servizi viveri e trasporti, all’economato, alla segreteria ed ai servizi di
cassa per conto degli internati. Sono coadiuvati: da un magazziniere per i
viveri, carbone e legna; una dattilografa-archivista; quattro uomini di fatica
per il carico e lo scarico degli automezzi e per i trasporti entro il campo; un
operaio specializzato per la manutenzione degli impianti idrici, sfornito però
degli attrezzi necessari, un elettricista, anch’esso sfornito di attrezzi e
materiale; 30 internati addetti al servizio di nettezza urbana e di pulizia dei
cessi.
(…) Alla
confezionatura del rancio per gli internati provvede un reparto dell’81°
Reggimento Fanteria comandato da un subalterno.(…) La
lavanderia, il forno, le camere frigorifere e le camere di disinfezione, sebbene
ultimati, non sono stati dati in consegna per dilazione imputabile al (il nome
è cancellato nel testo, n.d.r.).
(…) Nei
magazzini oltre al materiale nuovo viene immesso anche quello proveniente dalle
baracche, già dato in uso agli internati. Detto materiale, non sterilizzato ed
anche non lavato, costituisce un permanente pericolo per tutti.(…) Al (il
nome è cancellato nel testo, n.d.r.) è altresì affidato il magazzino vestiario.
Sulla distribuzione del vestiario egli ha idee tutte personali. Nulla
distribuisce gratuitamente agli internati, anche se indigenti fino alla miseria,
anche se materialmente scalzi e seminudi. (…) Quest’inverno non ha distribuito
nessun cappotto, sia maschile che femminile. Attualmente vi sono in magazzino
varie casse di scarpe, ma restano chiuse.
(…) In
quanto ad automezzi per trasporto di cose, il Campo possiede un automezzo che si
trova nell'impossibilità di funzionare per eccessivo consumo di benzina (circa
un litro per km.). Per il trasporto giornaliero del pane, del latte e di
piccoli quantitativi di merce si è noleggiato in permanenza un motofurgoncino per
4000 lire al mese. Per altri trasporti si noleggia un autotreno (1500 lire per
un viaggio da Frosinone) oppure, nelle suddette proporzioni, si rimborsa il
trasporto alle ditte fornitrici.
(…) SERVIZIO CUCINE. Come già detto il Campo ha 18 cucine in funzione. Vi ha preposto un distaccamento dell’81° Fanteria comandato da un sottotenente, della forza di tre sottufficiali, cinque graduati, e 45 uomini di truppa. Graduati e sottufficiali hanno mansioni generiche di sorveglianza, ma non la esercitano. Degli altri, tolti gli uomini addetti alla spesa pane per gli internati, alla spesa viveri internati, spesa truppa, magazzino viveri, cucinieri truppa, distribuzione latte, aiutante di contabilità, ripostigliere, piantoni alle camerate, barbiere, attendente, pulizie refettori ecc., a ciascuna delle suddette cucine rimane addetto un solo soldato, incontrollato. Ogni soldato ha creduto di costituirsi il suo harem in cucina assumendo le più belle ragazze alle sue dipendenze. Faceva il gallo del pollaio, coccolato e servito. Nella Vostra visita, Eccellenza, avete proibito questo sconcio e sono stati assunti ragazzi al posto delle donne, col compenso del supplemento del pane. Ciò non di meno, per deficiente sorveglianza, le donne ho visto che continuano a sfarfalleggiare attorno alle cucine, i soldati continuano a far niente e le cucine sono in mano degli internati. Come vengono lavate le verdure nessuno sa; sta di fatto che nelle minestre non è raro di trovare, opportunamente bolliti, bachi e vermi di verdura. Quello che arriva poi di derrate nelle marmitte, della razione prescritta, è cosa ancora più misteriosa. Cosa succede nel tragitto che va tra i magazzini e le diciotto cucine? Quanti generi vanno distratti per costituire devoto omaggio dei giovani soldatini alle più belle del Campo? Tutti interrogativi senza risposta poiché manca ogni controllo.
L’ufficiale non si è mai visto al Campo all’ora dei
pasti; lo stesso per i sottufficiali. Tutti però, all’ora della libera uscita
passeggiano gaiamente dentro il campo assassinando, con occhiate e con motti,
le belle del loro cuore. La
disciplina non si conosce.
(…) SERVIZI
IGIENICI E SANITARI. Sono ambedue
disimpegnati dal Dr. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.), profugo della
Tunisia. Egli è molto attivo, sebbene professionalmente non si elevi a grandi
altezze.(…) Il Dr.
(il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) oltre a provvedere a tutti i servizi
igienici, deve curare circa cinquemila internati che hanno subito privazioni,
che sono nutriti appena sufficientemente per evitare un collasso generale,
molti dei quali, specie donne e bambini, sono tubercolotici predisposti,
incipienti ed alcuni anche con forme aperte, moltissimi dei quali sono anemici,
pleuritici, affetti da malattie croniche, ecc.
(…) L’assunzione
di un operaio fognatore darebbe tranquillità per la manutenzione dell’impianto. Anche lo
stato di manutenzione delle latrine è migliorato dopo la Vostra visita al Campo
per effetto della assunzione di internati addetti alle pulizie delle latrine
stesse. Il fatto che queste si otturino spesso si deve attribuire, oltre al
malvezzo persistente di gettarvi oggetti di scarto, principalmente alla
irrazionale costruzione del Campo. (…)
Appunto per
le latrine ho già detto, in principio, come l’attuale ubicazione, distanziata
dalle baracche, sia irrazionale ed impedisca d’inverno e di notte che vi si
possa accedere.
(…) La
disinfezione degli indumenti è affidata, per tutto il Campo, ad una sola stufa
Gianoli di proporzioni modestissime, capace soltanto di tre materassi.(…) Bisogna,
cioè, costituire un camerino spogliatoio, una barbieria ed una sala di attesa e
vestizione. Si otterrà una perfetta e completa disinfestazione degli internati associata
alla disinfezione dei loro indumenti. L’infestato, così, entrando nella sala si
sveste e, mentre i suoi indumenti vengono sterilizzati, egli, previa rasatura
qualora occorra, passa alla doccia, esistente, e quindi nella sala di attesa
dove trova i suoi indumenti da indossare già perfettamente sterilizzati.(…) Le
docce, così come sono attualmente, non possono funzionare. Sono troppe e
sprecano troppa acqua, preziosa per gli altri servizi del Campo. L’acqua ha una
temperatura troppo bassa, inadatta a bagnarvisi anche d’estate, specie per le
donne, per i vecchi e per i bambini. Occorrerebbe ridurre il numero
funzionabile delle docce e munirle di impianto di riscaldamento.
(…) Manca
ogni forma di assistenza. Occorrerebbe istituire un asilo per i bambini, molti
dei quali attualmente sono lasciasti in uno stato di abbandono, di sporcizia e
di denutrizione che fanno pietà, ed un reparto cronici, specie per il ricovero
dei vecchi, attualmente abbandonati alla mercé di Dio nelle baracche e nel loro
sudiciume.
(…) Lo
strumentario chirurgico è insufficiente e va completato. Attualmente
sono adibite ad infermeria quattro baracche ed una in via di recinzione da
adibirsi a locale d’isolamento.(…) È
necessario che l’infermeria sia dotata di un’autoclave per le disinfezioni
d’uso. Attualmente lo strumentario chirurgico viene disinfettato in pentolini
su un fornello elettrico. Il Campo
manca di autoambulanza. Gli ammalati e le gestanti dovrebbero fare la lunga
strada al più vicino ospedale di Alatri in traballanti carrozzelle a cavallo.
(…) Manca la
camera mortuaria, sarebbe opportuno che venisse istituita.(…) Non v’ha
chi non veda la necessità, urgente, che al Campo venga assegnato almeno un
altro medico, giovane, attivo, e di buona volontà, ed un assistente sanitario
che collabori con i due medici, specie per le vaccinazioni. (…) Nessuno
attualmente presiede alla vigilanza ed al controllo della pulizia delle baracche
e degli internati, della pulizia degli alimenti nelle cucine, della pulizia
delle latrine e delle strade; nessuno evita che, quando gli automezzi hanno
scaricato la verdura, gli internati più affamati, specie sloveni, raccattino e
mangino rimasugli sporchi e fradici rimasti a terra; nessuno evita che gli
infermi ricoverati, quando lo credano necessario e lo desiderino, escano a spasso
per il Campo e stiano in contatto con gli elementi sani; né i medici, da soli,
possono provvedere a questa enorme mole di lavoro e di attività e
contemporaneamente curare la regolare tenuta dei registri delle nascite, dei
decessi, ospedalizzazioni, vaccinazioni, delle malattie infettive con conseguenti
denunzie, le cartelle cliniche, le anamnesi degli ammalati. Il personale
sanitario deve essere munito di adatti camici. L’attuale
medico ne è sprovvisto e non trova da acquistarne sul mercato.
(…) SERVIZIO IDRICO. Come è noto l’acquedotto che alimenta il Campo, derivato da quello di Ferentino, è stato costruito per una portata di sette litri al minuto secondo. In principio detta erogazione era sufficiente ai bisogni del Campo, ma successivamente si è lamentato, in modo sempre più allarmante, la deficienza di acqua.
(…) SERVIZIO ANTINCENDI. Dovrebbe essere disimpegnato, ma non lo è, da otto giovani e robusti vigili del fuoco presenti al Campo che dicono di aver ricevuto soltanto il compito di spegnere eventuali incendi che si verificassero. Si rifiutano di eseguire qualsiasi altro servizio e così, in mancanza per fortuna di incendi, oziano dalla mattina al pomeriggio, ora in cui, come i soldati, come i carabinieri e come gli agenti di PS, si recano nell’interno del Campo per godersi in libera uscita il passeggio ed i motti delle ragazze da marito e delle donne dal marito assente. Non si preoccupano del fatto che alcune baracche sono prive di estintori, come ho potuto constatare, né di verificare le cariche degli estintori in uso, né di impedire che nell’interno delle baracche si mantengano innumerevoli fornelli permanentemente accesi e che molte altre accensioni di fornelli si fanno all’aperto ma troppo prossimamente alle baracche.
SERVIZI DI SICUREZZA E DI POLIZIA(…) Numericamente sono insufficienti al servizio d’istituto e molti di essi sono distratti da altri servizi; scritturali, addetti alla censura postale, interpreti, piantoni, cucinieri, postini, addetti all’accompagnamento di internati. I pochi che restano sono adibiti al servizio di pattuglia: due pattuglie. Giovanissimi tutti, scapoli, tutti in borghese e per giunta mal vestiti, non disciplinati, pensano ad accattivarsi le simpatie e le grazie delle più avvenenti internate. Quando ho visto pattuglie le ho trovate sempre ferme in dolce colloquio con giovani internate.
(…) SERVIZI
DI MANUTENZIONE ED ARTIGIANATO. All’infuori
del più volte ricordato operaio idraulico, e dell’elettricista, ambedue
mancanti di attrezzi e di materiale di ricambio, manca un servizio idoneo alla
manutenzione della città degli internati e degli impianti ivi esistenti.
(…) PERSONALE,
UFFICI, ALLOGGI.(…) Attraverso
un rigido concetto di discriminazione, invece, si troverà, in questo
farraginoso elenco di proposte, che alcune di esse sono urgentissime, altre
urgenti ed altre ancora attuabili gradualmente nel tempo. Con questa
progressività di programma si troverà il modo, il tempo e il danaro necessari
per fare delle Fraschette un Campo di concentramento perfetto, se non nella sua
costituzione almeno nella sua organizzazione, e gli internati, rientrando nelle
terre di provenienza, che sono terre Italiane, dovranno riconoscere la
superiorità della nostra civiltà e gridarla al mondo”.
___________
Il Dopoguerra.
Subito dopo
la fine della guerra il campo di internamento delle Fraschette fu interamente
ricostruito e venne abitato da nuovi “ospiti”. Era in queste strutture che il
governo italiano aveva disposto l’identificazione e l’internamento dei profughi
“indesiderabili”: criminali comuni e di guerra, collaborazionisti e molti altri
ancora. Ad essi si unirono anche esuli istriani, stranieri senza documenti e
rifugiati d’oltrecortina ai quali non era stato riconosciuto lo status di
rifugiato politico. Dagli anni
’60 inizia l’ultima parte della storia del Campo Le Fraschette. Una storia
legata alla fine del colonialismo, quando nazioni come l’Egitto, la Tunisia e
la Libia decretarono le nazionalizzazioni con le conseguenti espulsioni degli
immigrati europei.
In questa
“terza fase” i capannoni furono ristrutturati e resi più fruibili, pronti ad
ospitare, nel neonato Centro Raccolta Profughi di Alatri, gli italiani che
vennero rimpatriati, ad ondate, per un decennio almeno. Da allora,
da quando quest’ultima fase si è conclusa, il Campo è rimasto abbandonato
all’incuria del tempo, anche se in molti intraprendono da anni azioni volte al
recupero e alla tutela non solo dei luoghi, ma anche dei ricordi, della memoria
e il vissuto di un luogo che ancora ha molto da insegnarci.
Cosa sarà?
Dopo anni di battaglie portate avanti da associazioni (in primis l’Ass.nazionale partigiani cristiani di Frosinone) poi raccolta dal Comune, forse per il Campo de "Le Fraschette" è arrivata la svolta. Ma di tempo ce ne vorrà ancora un bel po’, stando almeno dai primi riscontri. Posti simili, in Italia e in Europa, sono diventati fulcro di percorsi turistici e, perché no, anche di pellegrinaggi visto l’orrore che hanno custodito. Ogni anno comunque si celebra qui la “Giornata della Memoria” affinché ciò che successe in questo luogo non venga mai dimenticato e mai rivissuto.
Fonti:
Wikipedia;
libro "Le Fraschette di Alatri da campo di concentramento a centro raccolta rifugiati e profughi" di Costantini e Figliozzi;
articolo di Vincenzo Cerceo, “Cronache di un’infamia”.
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venerdì 15 febbraio 2019
Fossa Susanna - Il mistero nella tragedia
Il 25 Maggio del 1932, sui Monti Ernici nel comune di Veroli (Frosinone), una tragedia scosse il piccolo paese della Ciociaria. Un elicottero precipitò sulle montagne verolane con a bordo 4 francesi. Trovarono la morte in maniera tragica i coniugi Suzanne Sarah Picard e Alfred Isaak Lang Willar, il pilota Marcel Francois Goulette ed il suo secondo Lucien Moreau.
I quattro, diretti a Marsiglia, persero la vita nella zona che già precedentemente veniva chiamata “Femmina morta” e poi ribattezzata “Fossa Susanna” dagli abitanti del luogo in memoria dell’accaduto. Ma entriamo nel dettaglio.
Lì dove oggi è presente una stele e l’elica originale dell’elicottero per ricordare le vittime e l’infausto evento, in quel giorno del 1932 strane e particolari coincidenze si mescolarono per dare origine a una tragedia fitta di mistero. In quell’elicottero pilotato dall’espertissimo Marcel Francois Goulette (eroe francese della Prima Guerra Mondiale nativo di Charmes nonché protagonista di imprese aviatorie come trasvolare il deserto del Sahara e buona parte dell’Africa) e dal suo secondo Lucien Moreau, erano presenti anche Suzanne Sarah Picard e Alfred Isaak Lang Willar i quali pochi giorni prima erano scampati ad un’altra incredibile tragedia. I due coniugi infatti erano tra i sopravvissuti del naufragio del transatlantico francese “Georges Philippar” che, a causa di un improvviso incendio a bordo mentre era a largo della Somalia, trascinò con se in fondo all’Oceano numerose persone ma non Alfred e Suzanne. I due francesi, essendo ottimi nuotatori, riuscirono a mettersi in salvo raggiungendo una nave sovietica la quale era accorsa in aiuto ai passeggeri del “Georges Philippar”. Appena al sicuro decisero di scattare numerose foto alla nave francese mentre affondava, probabilmente per ricordare per sempre quella bruttissima esperienza. Ma il "per sempre" durò molto poco.
E così, come se il destino o chissà cosa dovesse riscuotere il suo sinistro debito, i due coniugi francesi trovarono la morte su una montagna della Ciociaria il 25 maggio del 1932 in quel luogo che veniva chiamato già da tempo “Femmina morta”. Non sappiamo di preciso come l'esperto pilota e il suo secondo persero il controllo dell'elicottero, se per colpa del maltempo, se per una distrazione fatale o altro. Sta di fatto che il mistero aumenta quando si vuole far caso ad alcune coincidenze. Proprio nel paese ciociaro il 25 Maggio si celebra la santa patrona, vale a dire Santa Sàlome. Vi domanderete: “beh allora?”. Santa Sàlome, discepola di Gesù e madre di due apostoli (Giacomo il maggiore e Giovanni) secondo gli scritti della religione cristiana, prima di morire proprio a Veroli si era recata a Marsiglia (dove i coniugi erano invece diretti) con una sua ancella di nome Sarah, secondo nome di Suzanne. Tutto ciò stimola curiosità e mistero e misterioso diventa il luogo oggi chiamato appunto Fossa Susanna dove è presente anche una dolina, una “fossa” piena d’acqua nel luogo esatto in cui si schiantò l’elicottero.
Questa zona è raggiungibile a piedi partendo da Prato di Campoli e seguendo il sentiero CAI 616. A circa 1500 metri di altezza, tra fitti boschi e nel silenzio della montagna si trova l'opera dedicata ai quattro francesi caduti.
Questo ciò che scrisse all’epoca il Podestà di Veroli Scaccia Scarafoni in merito alla tragedia:
“Il 25 maggio 1932, nelle montagne di Veroli, perirono tragicamente quattro aviatori Francesi, in seguito a rottura dell’apparecchio che li trasportava. Cotanta disgrazia addolorò moltissimo la buona popolazione di Veroli, la quale prese viva parte al lutto che colpiva la Nazione francese e le famiglie dei caduti, adoperandosi con slancio ammirevole per tutte quelle opere che bisognò compiere, in mezzo a gravi disagi, allo scopo di restituire alla Francia i resti dei suoi figli. Tanto il governo francese, quanto le famiglie dei caduti, ammirati e riconoscenti verso questa popolazione, vollero, con segni tangibili, dimostrare la loro gratitudine, elargendo somme per la pubblica beneficenza e per opere pubblica utilità. Questa amministrazione, traducendo in atto il desiderio dell’intera cittadinanza, fece erigere un modesto ricordo sul luogo del disastro, ricordo che venne poi inaugurato alla presenza di funzionari dell’ambasciata di Francia presso il Re, con l’intervento delle locali autorità amministrative e politiche”.
Fonti:
Stefano Magliocchetti, “Il mistero dei Monti Ernici. La Femmina Morta”, Editore Casamari.
Angelo Maramao, “Susanna la femmina morta”, Editore M. Pisani.
Viviciociaria.it (Tra spionaggio, misteri e realtà: la tragedia di “Fossa Susanna” a Veroli, Prato di Campoli. di Alessandro Vigliani).
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